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Il bambino impara ad apprendere non perché è direttamente esposto agli stimoli ambientali, ma perché si inserisce tra lui e l’ambiente una figura che esplica la preziosa funzione di mediazione.
Feurstein pur riconoscendo l’importanza degli stimoli individua l’”apprendimento mediato”. Il bambino impara non perché direttamente esposto agli stimoli ambientali, ma perché tra lui e l’ambiente si frappone una figura: il genitore (o chi per lui) che esplica la funzione di “mediazione”.
Il mediatore guidato dalla sua cultura seleziona, organizza gli stimoli che devono giungere al bambino in modo da fornirgli gli schemi di apprendimento, modelli di comportamento.
L’apprendimento, per Feurstein, è dunque il risultato della combinazione tra la diretta esposizione agli stimoli ambientali e l’esperienza di apprendimento mediato. Il fattore umano di mediazione non può essere sostituito da nulla (computer, danza, pittura ecc…) Quando il soggetto in apprendimento non desse risposte corrette, il mediatore interverrebbe in modo positivo, correggendo e proponendo stimoli alternativi
L’ordine di comparsa, la qualità degli stimoli e i cambiamenti che si verificano, sono fatti propri dal bambino grazie all’intenzionalità dell’adulto che indica gli eventi più importanti ed i loro aspetti critici.
Feuerstein, in tal modo, rovescia la teoria della genesi del ritardo dell’apprendimento che non dipenderebbe, così, solo dalle problematiche socio-culturali.
Ogni ritardo mentale, invece, dipende dallo scarso interesse dell’adulto nei confronti dello sviluppo del soggetto in educazione.
Come relazionarsi e comunicare con un bambino in difficoltà? Per Feuerstein si deve far sempre in modo che il bambino colga il motivo delle parole che gli sono rivolte e delle azioni che si compiono: ad esempio, apro l’acqua calda perché tu non senta freddo. Il bambino in tal modo crea connessioni, giunge a capire il rapporto causa effetto, scopre il significato delle azioni che vengono compiute. Ciò va fatto anche se sembra che il bambino non colga quanto gli si dice.
E’ importante individuare ogni occasione per collegare vari fati fra di loro. Per Feuerstein se si vuole ottenere la partecipazione attiva del bambino occorre spiegagli l’implicito: ad esempio, mangia le carote perché fanno bella la pelle, ti facilitano una bella abbronzatura. Non serve tanto la spiegazione scientifica, ma il collegamento dei fatti tra di loro. Il discorso va arricchito con aggettivi per esprimere le proprie conoscenze ed emozioni. In una società sempre più povera di valori, oggi, l’ambiente, le ricorrenze familiari, i riti anche della vita quotidiana vanno colorati ed arricchiti di risonanze emotive.
Tutto questo è necessario ma non sufficiente per l’autonomia cognitiva, soprattutto per un soggetto down. Bisogna individuare il modo per accrescere nel bambino la sicurezza di sé, cosa che si può ottenere solo mettendogli in luce i suoi lati positivi: niente sarebbe più frustrante per lui che sentire di continuo giudizi negativi sul suo conto. C’è modo e modo di intervenire per correggere gli immancabili errori: l’adulto deve intervenire sempre in modo positivo e propositivo.
E’ opportuno anche lanciare ripetutamente sfide che possono essere raccolte attivamente e ciò per rafforzare la necessaria stima di sé: esse devono avere due caratteristiche stimolare il costante progresso e nel contempo essere assolutamente accessibili.
Altro atteggiamento, importante per Feuerstein, abituare il bambino a riflettere evitando risposte impulsive, che sono per lo più frutto di superficialità o di frustrazione. Prima di prendere una iniziativa o di dare una risposta bisogna pensare. Un consiglio, ripetuto, per Feuerstein: “aiutare il soggetto a prendere coscienza dei suoi miglioramenti (oggi sei riuscito a leggere una parola di tre sillabe!). La maggior parte di quanti falliscono a scuola sono incapaci di impegnarsi per mancanza di autostima: al primo insuccesso rinunciano.
Bisogna anche educare a rinviare la gratificazione per rafforzare la capacità di affrontare le difficoltà di un progetto (per tirare la palla aspetta il tuo turno).
Non va dimenticato che ci sono soggetti che non riescono a maturare in quanto non sono in grado di concentrarsi in un unico stimolo per la limitata capacità di concentrazione: occorrono allora particolari interventi nella selezione degli stimoli spiegando lo che bisogna far bene quello che si fa (quando mangi, i tuoi giochi devono riposare)
Altro modo di aiutare la progettazione positiva di sé del soggetto è visualizzare il futuro anticipandolo(“prima si fanno alcuni esercizi, poi si esce a fare la spesa, poi….)
Soggetti in educazione (sia meno dotati che deboli mentali) vanno stimolati alle domande: che cos’è ?, cosa vuol dire? Di chi è? Il che sviluppa l’espressione verbale e invoglia ad esternare le emozioni. Per Feuerstein le difficoltà di apprendimento anche in adolescenza, hanno la causa nella povertà delle emozioni che genitori e figli vivono insieme sia nella vita familiare che nelle relazioni sociali. Feuerstein è convinto che tutti gli esseri umani hanno la possibilità di sviluppare il proprio potenziale cognitivo anche per soggetti con deficit per cause organiche e perfino genetiche anche se il potenziale di modificabilità non è prevedibile. Contro la convinzione che l’intervento di potenziamento delle abilità cognitive sia possibile solo se attuato precocemente: “tutta la vita per Feuersein ha periodi ottimali suscettibili di modificabilità”
Affinché l’interazione individuo-ambiente diventi un’esperienza di “apprendimento mediato” deve avere caratteristiche universali quali:
- “La mediazione occorre sia intenzionale”: attraverso l’intenzionalità il soggetto coglie che gli stimoli non sono casuali. La mediazione induce a percepire le cose con chiarezza e precisione e orienta verso lo scopo dell’educatore che media. Lo stimolo viene intensificato, così che il soggetto in educazione che il mediatore sono indotti “in uno stato di vigilanza verso lo stimolo” (Feuerstein). L’esposizione diretta e passiva allo stimolo, al contrario, in assenza di intenzionalità, non assicura la percezione della situazione e che sia recepita dal soggetto. Così, chi insegna, ad esempio, ad un down il calcio, deve rallentare i movimenti per permettere di coglier le fasi. L’intenzionalità si evidenzia, concretamente, nel rallentamento dell’azione.
L’intenzionalità della mediazione talora è spontanea: esempio, madre del figlio down che rallenta i gesti nell’attesa della risposta.
- “Mediazione aperta all’ulteriorità”. La mediazione educativa va al di là dell’esperienza immediata in quanto il mediatore guida ad uscire dal presente per sviluppare nessi casuali, temporali, generalizzazioni, espansioni verbali.
- “Mediazione dei significati”: il mediatore consente all’altro di attribuire agli stimoli che gli si presentano in modo indifferenziato, un significato, un valore. E’ questo che gli consente di superare la neutralità, la passività. Un significato può essere variato in tanti modi: verbalmente, con tono di voce, testualmente o con la mimica. Il fattore più importante in tale processo è il legame affettivo fra mediatore e il soggetto in educazione, talora è l’unico fattore motivante.
- “Mediazione del senso di competenza”: è uno degli elementi più difficili da recuperare in ogni soggetto. La consapevolezza di essere capaci e di poter riuscire motiva la volontà di impegno in ulteriori tentativi. Bisogna spiegare, al di là del semplice “sì va bene” perché è stato capace, cosa nella sua azione era così giusto d’averlo portato al risultato finale. E’ essenziale aiutare il soggetto a cogliere il processo che lo ha condotto al successo finale.
- “Mediazione delle regole di comportamento”: l’educatore deve rendere il soggetto in educazione ben consapevole della necessità di dare una regola alla propria condotta perché sia finalizzata agli obiettivi da perseguire. L’impulsività è presente nei bambini, ma anche in soggetti adulti in difficoltà. L’educatore compie un lavoro di mediazione e frena l’impulsività dedicando più tempo all’analisi del compito e rifiutando risposte incontrollate.
- “Mediazione del comportamento di cooperazione”: fare insieme è utile quando si fa comprendere quello che si ottiene unendo le forze per raggiungere un obiettivo comune. Se lo scopo dell’azione viene colto mentre collabora, il collaborare viene accolto e interiorizzato senza prediche, né moralismi.
- “Mediazione del senso di condivisione” che dà fiducia in se stessi. Il bambino sin da piccolo ama la presenza della mamma che, alla fine, diventa esigenza di condividere le esperienze. Tale esigenza è presente anche in soggetti in difficoltà e bisogna guardarsi bene dal farla morire. Il problema sorge quando dall’esperienza domestica si passa a quella generalizzata in ambienti diversi. Il modo più sicuro di riuscita consiste nell’esperienza di gruppo. Nella scuola materna è necessario prodigarsi per un’interazione continua fra bambini, inibendo comportamenti individualistici.
- “Mediazione della differenziazione psicologica”: un bambino quanto più si sviluppa tanto più si differenzia dagli altri e deve rendersene conto. Anche il soggetto in difficoltà deve accorgersi di essere una personalità distinta, unica e irrepetibile. I suoi deficit non devono oscurargli la potenziale ricchezza delle differenze individuali. Spesso gli adulti non valutano adeguatamente quello che fanno o dicono i bambini soprattutto quando si discostano dalle loro opinioni. Il processo didattico di individualizzazione potrà e dovrà tener conto della singolarità e della maturazione di fatto avvenuta per programmare percorsi di ulteriore sviluppo.
- “Mediazione della ricerca, scelta e conseguimento degli scopi”. Se per un adulto è difficile operare progetti e proporsi scopi, a maggior ragione lo sarà per un soggetto in difficoltà. La prima mediazione di un educatore è quella di mediare, cioè far cogliere le situazioni problematiche. Le difficoltà che il soggetto in educazione incontra nel rappresentarsi gli scopi al di fuori del proprio campo percettivo o che sono lontani dai propri interessi, vengono avvicinati dalla presa di coscienza del problema. Solo dopo l’adulto potrà guidarlo e aiutarlo a collegare lo scopo con i mezzi necessari a raggiungerlo. Occorre che trasmetta con chiarezza il tipo di prestazione che si attende, quali mezzi sono necessari..
- “Mediazione della ricerca della novità e della complessità”. Con Feuerstein si sottolinea che solo un ambiente che offra stimoli nuovi, complessi e non familiari si è in grado di creare la situazione più favorevole allo sviluppo dell’intelligenza. Per ambienti stimolanti si intendono quelli “creativogeni” (S. Arieti), quelli cioè intrisi di elevati valori umani. Lo scopo ultimo di tutto il processo educativo non è solo quello di produrre la capacità di adattarsi a situazioni nuove, ma di operare anche scelte difficili in tali situazioni nuove. Conseguentemente, l’adulto deve saper organizzare il proprio intervento per far accettare una certa quantità di sforzo motivato e mediato dall’importanza dei valori in cambio di risultati gratificanti a livello etico-morale. Occorre, in particolare con gli artistici, attenzione per quanti – segnati da deficit – non amano il cambiamento avvertito come minaccia alla propria esistenza: la mediazione in tali casi deve cercare di entrare il più possibile in piena sintonia con il soggetto in modo che il cambiamento venga operato di comune accordo, con la partecipazione diretta del soggetto, calcolando anche i tempi di marcia.
- “Mediazione della consapevolezza della modificabilità e del cambiamento”: quando un soggetto in età evolutiva, più o meno normodotato, nella difficoltà o insuccesso degli interventi di recupero, può convincersi non solo che la situazione non è modificabile, ma anche che l’adulto non è in grado di aiutarlo. L’intervento di mediazione consiste nel dimostrargli, invece, che è capace di funzionamento cognitivo autonomo che già utilizza nelle diverse situazioni della vita. Disponibilità di partecipare al lavoro e offerta di sempre maggiore motivazione costituiscono motivo di riuscita.
- “Motivazione nella ricerca di alternative ottimistiche”. Si esige dall’educatore la fiducia nella possibilità che alcune prospettive, anche se apparentemente utopiche,diventino realtà. Aiutare, quindi, il soggetto a fare esperienze di scelte difficili commentate ad alta voce così da coinvolgere la sua mente. Vanno scelti i momenti di maggiore calma o di migliore preparazione o di strumenti presentati come i più adeguati.
- “Mediazione dell’appartenenza alla specie umana” ciò in particolare quando in un ambiente convivono soggetti diversamente abili. Si impone la mediazione sia dell’antirazzismo sia dell’apartheid (basta pensare all’inserimento dell’handicappato nella scuola!). La mediazione s opera realizzando l’integrazione nell’organizzazione dei vari raggruppamenti scolastici (classi, interclassi, sottogruppi…) I moralismi sono controproducenti.
- “Mediazione della correzione delle funzioni cognitive” La causa dell’insuccesso e del ritardo scolastico dipendono dal cattivo uso delle funzioni cognitive (Feuerstein). Ne consegue la necessità della mediazione che rende cosciente l’alunno delle sue carenze sul piano funzionale. L’alunno (Feuerstein) consapevole che può correggere le funzioni carenti attraverso un processo metacognitivo (che va la di là della semplice conoscenza) riesce gradatamente a recuperare. Questa posizione di Feuerstein non è condivisa da Larocca anche perché molti errori cognitivi sono così radicati anche negli adulti colti che i cattivi funzionamenti delle funzioni cognitive non vengono corretti dalla semplice presa di coscienza di errori nel processo cognitivo. Nei soggetti con debolezze mentali serie più che la metacognizione si esige dall’educatore l’individuazione della o delle funzioni carenti su cui occorre intervenire. Occorre un’analisi approfondita dei prerequisiti che talora arretrano fino a disfunzioni di tipo percettivo e addirittura sensoriali.
1 commento:
Nell'educazione scolastica si tende a privilegiare e stimolare l’intelligenza verbale, ma sarebbe più produttivo, utile ed efficace per tutti se alla parola si affiancassero altre modalità, capaci di stimolare le diverse intelligenze di H. Gardner.
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