28 agosto, 2007

I mediatori didattici










( Pittura di Antonio Fiorini)



La scuola è un ambito permeato ed intriso di processi educativi che in tale contesto si esplicano in processi di apprendimento. Nei processi di apprendimento i docenti devono quotidianamente affrontare il problema:

  • di come veicolare un messaggio,
  • di come facilitare la comprensione di un concetto,
  • di come far acquisire o consolidare le capacità di vario tipo.

In questi processi di apprendimento si tende verso un passaggio dalla realtà alla rappresentazione della realtà. Questo passaggio si sostanzia in una AZIONE o in una serie di azioni. Il cuore di un progetto educativo è proprio l’azione e quindi questa deve essere un’AZIONE MIRATA.

Azione o azioni che tendono ad una conoscenza, acquisizione e competenza di contenuti di vario tipo. Questi contenuti vanno veicolati attraverso i MEDIATORI.

Ma i mediatori….

§ cosa sono?

§ quali sono?

§ come si usano?

Prima ancora di rispondere a queste domande…….dove si collocano questi mediatori?

Si collocano nella didattica, nella didattica di tutti i giorni, in tutte le discipline ed insegnamenti che fanno parte del Progetto Educativo che si colloca in un Progetto Pedagogico che a sua volta si inserisce in Progetto di Vita.

La didattica che prendiamo in esame è la didattica mediale.

Ma veniamo alle risposte delle domande precedenti.

Rispondendo alla prima domanda….. cosa sono i mediatori?

Essi sono il mezzo, lo strumento, i diffusori attraverso il quale l’insegnante, ed in particolar modo l’insegnante di sostegno, trasmette le informazioni per “ridurre l’asimmetria (il divario) tra l’essere ed il dover-poter essere ( Larocca)

( tratto liberamente da : APPRENDIMENTO COGNITIVO NEUROMOTORIO di G. Raccagni)

L’insegnante è il primo mediatore didattico, sia attraverso la sua parola sia attraverso tutti i tratti caratterizzanti la sua comunicazione, anche quelli non verbali. Il mediatore reale è proprio l’educatore, che con la sua personalità è in grado di creare sintonia e motivando in tempo reale l’educando, può ridurre l’asimmetria nei confronti dell’obiettivo. Inoltre un educatore cerca di offrire almeno un canale di comunicazione che agevoli il contatto, che possa far fluire le emozioni, permettendo a chi lo necessita di essere compreso al di là dei modi convenzionali del comunicare. Il dialogo ha una dimensione emotiva e relazionale dove l’attenzione e la partecipazione sono elementi vitali per l’incontro: l’incontro tra due realtà viventi. Gli insegnanti e gli educatori sono i mediatori per definizione, essendo impegnati non solo a trasferire concetti e paradigmi da un codice ad un altro, ma anche a creare spazi comunicativi aperti alla comprensione reciproca e alla costruzione collettiva di una dimensione culturale condivisa. Essi hanno un potere sui mezzi, sugli strumenti, sui modi, sui tempi e sui luoghi che posso favorire od ostacolare questo passaggio. La culla dei mediatori la si trova nelle terapie attive ( che si differenziano da quelle passive). Spesso il termine terapia viene associato a tecnica. I mediatori, attraverso i sensi penetrano nell’animo della persona, il filosofo Popper afferma che l’uomo può acquisire conoscenza intorno al mondo solo attraverso i propri sensi, questi sono: “le fonti della nostra conoscenza, le fonti o gli ingressi nella nostra mente”. I mediatori servono a strutturare rappresentazioni mentali sia di carattere cognitivo-emozionale sia di carattere cognitivo-razionale.

Una delle più efficaci classificazioni dei mediatori didattici è quella proposta da Elio Damiano (I mediatori didattici. Un sistema d’analisi dell’insegnamento, IRRSAE Lombardia, Milano 1989), che ha il merito di essere strutturata non secondo un ordine semplicemente descrittivo, bensì come sistema operativo derivato da una teoria dell’azione di insegnamento. Si tratta di una tavola organizzata per assi cartesiani: quello orizzontale, della rappresentazione, rimanda alla successione dei mediatori – attivi, iconici, analogici, simbolici - in corrispondenza del tipo di ricostruzione della realtà operata – attraverso l’esperienza “diretta”, le immagini, i giochi di simulazione, i concetti e le teorie - quindi secondo l’ordine di distanziamento dalla realtà; l’asse verticale (della integrazione) è ordinato tassonomicamente su cinque gradi per ciascuna classe di mediatori identificata e corrisponde a due modalità di elaborazione dell’esperienza: quella relativa all’uso dei mediatori e quella relativa alla riflessione sull’uso.

ASSE DELLA RAPPRESENTAZIONE
(ordine di distanziamento dalla realtà)

ATTIVI

ICONICI

ANALOGICI

SIMBOLICI

a) Esplorazioni “per vedere”, esercitazioni “per presa di contatto”

a) Disegno “spontaneo”, materiale visivo per documentare

a) Drammatizzazione nel role play (soggetti)

a) Discussione finalizzata a sintetizzare/omologare informazioni raccolte, narrazione dell’insegnante

b) Esplorazione secondo piano d’osservazione, esercitazione per realizzare organi a partire da semilavorati, montaggi etc.

b) Disegno preordinato secondo piano contenutistico/codice prescelto, analisi e interpretazione di immagini selezionate

b) Giochi di simulazione (canovaccio)

b) Narrazione (ascolto, lettura, scritti) di eventi più o meno complessi, sintesi scritta, narrazione dell’alunno

c)Ricostruzione (mimo,conversazione.) di un’esperienza per metterla a fuoco ed esaminarla

c) Codificazione grafico-figurativa di eventi più o meno complessi (a partire da altri linguaggi, verbali e non)

c) Esecuzione di copioni (soggetti a canovaccio)

c) Definizione di concetti, formulazione di giudizi

d) Esperimento (a fattori selezionati e alternati), esercitazione per ideare, progettare, realizzare oggetti

d) Schematizzazione di concetti, mappe, percorsi, eventi…. secondo connettivi grafici (organizzatori percettivi)

d) Analisi e discussione di un gioco, finalizzate all’identificazione delle regole

d) Riflessione sul linguaggio, sulle pratiche discorsive, sulle procedure, finalizzata all’individuazione di regole

e) Esplorazione per controllo di conoscenze predefinite, esercitazioni per applicare/controllare .

e) Schematizzazione e controllo di conoscenze ed esperienze apprese in precedenza

e) Simulazione finalizzata all’applicazione e controllo di conoscenze e esperienze precedenti

e) Applicazione e controllo di regole (metaconoscenze) apprese in precedenza

Riguardo all’asse dell’integrazione, va specificato che la modalità di uso dei mediatori comprende i primi tre gradi (dall’uso primario all’uso preordinato all’uso compiuto); quella relativa alla riflessione sull’uso comprende i due gradi successivi (dall’esplicitazione delle regole che sostengono l’uso, all’applicazione e al controllo delle regole medesime). Tale gerarchizzazione traccia un itinerario dei processi di apprendimento dal livello della conoscenza (uso, fare per conoscere) al livello della meta-conoscenza (riflessione sull’uso, conoscere come si conosce).

“L’uno e l’altro ‘asse’, nella loro composizione incrociata - osserva Damiano - costituiscono una tavola progressiva, orientata da sinistra a destra, dall’alto in basso, capace di esporre, in forma ordinata e sintetica, i compiti di insegnamento, il sistema strutturato delle operazioni che l’insegnante è chiamato a sviluppare, quale che sia la disciplina di studio – ovvero il contenuto da insegnare -, il traguardo formativo che si pone, i soggetti in apprendimento, il contesto istituzionale in cui si colloca” (Damiano 1989, p. 60).

I mediatori attivi o dell’esperienza diretta rappresentano l’insegnamento realizzato creando occasioni di esperienza diretta e attivando il soggetto.

I mediatori iconici rappresentano l’insegnamento realizzato mediante il linguaggio grafico, attivando così l’intelligenza visivo spaziale del soggetto.

I mediatori analogici rappresentano l’insegnamento che si rifà alle modalità del gioco, della simulazione.

I mediatori simbolici rappresentano l’insegnamento che usufruisce di lettere, cifre, simboli.

E' ovvio che "la complementarietà è il carattere comune a tutti i mediatori" e che sia necessaria la loro integrazione. I mediatori consentono di sentire il contatto con l’altro e di esprimere la propria personalità. I mediatori didattici giocano un ruolo strategico nello sviluppo e nel mantenimento della motivazione ad apprendere. Li possiamo trovare nella didattica di tutti i giorni, in tutte le discipline ed insegnamenti che si collocano in un Progetto Pedagogico, che a sua volta si inserisce in un Progetto di vita . I mediatori, ci aiutano a superare il vecchio concetto di progettazione che soprattutto mirava ad un insegnamento unico ed omogeneo, inoltre ci permettono di trovare strade differenti per spiegare lo stesso concetto in modi diversi avvicinandoci in maniera olistica ad ogni studente rispettandone gli stili cognitivi e di apprendimento.

(Tratto liberamente da: MOTIVAZIONE E APPRENDIMENTO di Paola Di Natale)

Utilizzo di mediatori didattici: il compito più delicato per il docente è quello di creare le condizioni per rendere migliore possibile il rapporto tra la materia di studio e l’allievo, considerato singolarmente e nella dimensione del gruppo. L’azione di insegnare, secondo Damiano consiste in un intervento di mediazione, cioè di regolazione della distanza analogica tra il contenuto da apprendere e i soggetti che apprendono, condotta da parte del docente. Nell’organizzare e animare questo “dialogo” egli utilizza segni e strumenti con la funzione di mediatori, per mezzo dei quali agevola la ricostruzione individuale e collettiva dell’esperienza culturale. Una caratteristica fondamentale dei mediatori è la pluralità: queste le tipologie più conosciute e utilizzate nella scuola: mediatori attivi, iconici, analogici, simbolici.Ciascun mediatore si connota per la diversità nel richiamare la realtà, quindi per il grado di convenzionalità e di astrattezza, ma anche, di conseguenza, per le condizioni di controllo e di sicurezza, nonché per il legame più o meno prossimo con la temporalità dell’esperienza. Per quanto riguarda lo spazio, l’uso dei mediatori può essere regolato attraverso l’intreccio fra distanza fisica e prossimità psicosociale: alcuni sono “a forte implicazione”, come quelli attivi e analogici; altri sono considerati più “freddi”, come quelli iconici e simbolici.
In questa sede interessa sottolineare che ciascuno dei mediatori è portatore di una dimensione formativa specifica, efficace e profonda che deve essere padroneggiata dall’insegnante, il quale può prevederne l’utilizzo sia singolarmente che contemporaneamente, attingendo al loro uso integrato. Il laboratorio identifica la situazione di apprendimento che realizza in modo privilegiato, in una dimensione operativa e progettuale, l’intreccio tra più mediatori didattici: l’esperienza diretta, il ricorso a modelli e immagini, la simulazione, l’uso di codici simbolici.
In presenza di studenti in difficoltà è inevitabile ampliare la gamma di mediatori da utilizzare nei vari ambienti di insegnamento, incrementando quelli non verbali, in relazione alle specificità dei bisogni comunicativi ed educativi del soggetto. Potrà bastare il potenziamento delle esperienze dirette o l’uso di mediatori iconici; oppure potrà risultare necessario il ricorso a codici alternativi specializzati: ad esempio, alla lingua dei segni (per audiolesi), o al codice braille (per non vedenti), o alla comunicazione aumentativa, o al codice Bliss, o alla comunicazione facilitata (per minori con ritardo intellettivo o problemi psichici severi); l’elenco potrebbe continuare.
Lo sviluppo della tecnologia informatica e multimediale ha aumentato le potenzialità formative del sistema di mediatori didattici. Per gli allievi con problemi le nuove opportunità offerte dal computer riguardano sia il parco hardware (periferiche adattate, computer con sintesi vocale, schermo particolare, ecc.) che il software (percorsi formativi multimediali concepiti per tutte le tipologie di difficoltà). In numerose circostanze l’impiego della macchina può davvero risultare risolutivo per garantire all’alunno la permanenza in classe, consentendogli di fare esperienza di apprendimento insieme ai compagni (attraverso testi e ipertesti semplificati e/o adattati individualmente), e dunque di recuperare ai loro occhi l’identità di studente.

Fiducia nei poteri dell’informatica non è tuttavia sinonimo di incauto fideismo: l’ausilio non è uno strumento miracolistico in virtù delle proprietà intrinseche. Prima di tutto va preparato l’incontro tra l’allievo e il mezzo attraverso spazi, tempi e modi adeguati, altrimenti si corre il rischio che “il rimedio risulti peggiore del male”, e che dopo il primo entusiasmo si manifestino resistenza e rifiuto; vanno poi preparati i compagni di classe, affinché accettino la presenza della macchina come strumento di studio al pari della penna e del libro, e non come occasione di distrazione; infine, last but not least, non si può pensare che un artefatto mediatico sostituisca il docente. La relazione umana tra insegnante e minore in difficoltà resta essenziale, la natura e la qualità della guida sono importanti e fanno la differenza; a maggior ragione per il fatto che non sempre l’alunno è in grado, da solo, di integrare i diversi codici che la multimedialità informatica propone.

(Tratto liberamente da: “La formazione degli insegnanti per affrontare le difficoltà di apprendimento degli allievi” , di Marisa Pavone.)

RIFLESSIONI

Dunque secondo Elio Damiano il mediatore didattico è “ciò che agisce da tramite tra soggetto e oggetto nella produzione di conoscenza, sostituisce la realtà perché possa avvenire la conoscenza, ma non si sostituisce alla realtà spodestandola, pur richiedendo di essere trattato come se fosse la realtà, ma sempre in quanto mediatore conservando lucidamente la consapevolezza che la realtà non è esauribile da parte dei segni, quali che essi siano. "Perché questo avvenga è necessaria una figura che proponga questi mediatori al soggetto in apprendimento in base alle sue caratteristiche specifiche, declinati secondo l’autore in base al loro di distanziamento dalla realtà (attivi, iconici, analogici e simbolici). Ciascun mediatore si connota per la diversità nel richiamare la realtà, quindi per il grado di convenzionalità e di astrattezza, ma anche, di conseguenza, per le condizioni di controllo e di sicurezza, nonché per il legame più o meno prossimo con la temporalità dell’esperienza. Per quanto riguarda lo spazio, l’uso dei mediatori può essere regolato attraverso l’intreccio fra distanza fisica e prossimità psicosociale: alcuni sono “a forte implicazione”, come quelli attivi e analogici; altri sono considerati più “freddi”, come quelli iconici e simbolici.
Con l’avvento dell’informatica e della tecnologia multimediale il campo dei mediatori didattici si è notevolmente ampliato, software e hardware offrono strumenti e percorsi che consentono all’alunno con gravi disabilità di stare con i compagni in classe e di raggiungere obiettivi di apprendimento impensabili senza computer e programmi. Ma la tecnologia informatica non è la panacea che risolve tutti i problemi dei ragazzi diversamente abili, logica vuole che il solo video acceso di fronte ad un ragazzo poco contribuisca al suo sviluppo formativo…
Si tratta di preparare i ragazzi diversamente abili ad usare il computer, rendendolo uno strumento e non il protagonista per comunicare, per esprimersi e soprattutto abituare gli altri ragazzi ad accettare o meglio ad accogliere la presenza di computer o altre strumentazioni multimediali in classe, portarli alla consapevolezza che non si tratta di un gioco o di un privilegio..
Molti alunni dislessici hanno cambiato completamente il loro approccio con l’ambiente scolastico da quando con un portatile in classe le performaces non sono state più inficiate da una caterva di errori ortografici e sintattici. E per un ragazzo artistico..? La comunicazione facilitata è un percorso che gli permette di comunicare con il mondo ma è necessario un computer e la sua presenza in classe è irrinunciabile ma si devono preparare i compagni a capire il perché di questa presenza, parrebbe strano ma se si danno loro le corrette spiegazioni riescono a sorprendere per le loro reazioni positive.
Preparare, spiegare, motivare…spetta sempre al docente mediare, mettersi in mezzo tra ragazzo diversamente abile e difficoltà da superare, tra lui e i compagni, guidarlo per un tratto del cammino fino a portarlo al più alto traguardo possibile di sviluppo e di autonomia.. utopia ???? No Speranza………

ALCUNI LIMITI DI UN MEDIATORE

Un mediatore quanto più è significativo, tanto più è potente; allo stesso tempo, però, è opportuno tenere presenti anche i suoi limiti, nascosti proprio nella sua potenziale efficacia. Ne poniamo in evidenza due. La ricerca mostra come sia possibile che si verifichino delle interferenze fra le caratteristiche intrinseche del mediatore e quelle che esso acquisisce quando entra a far parte di una metafora. Per poter divenire parte attiva della metafora, il mediatore deve in qualche modo perdere la sua caratteristica originale, per poter divenire ponte verso una nuova conoscenza. Ma fintantoché questa necessaria ristrutturazione del campo non avviene, i mediatori possono anche finire per svolgere il ruolo di distrattori e opacizzare quindi le potenzialità della metafora come strumento di conoscenza, cioèpossono indurre negli alunni una concentrazione eccessiva sugli aspetti concreti del mediatore a scapito di quelli concettuali che esso avrebbe dovuto veicolare. Il secondo aspetto, collegato al precedente, può manifestarsi, nel mantenere un contatto eccessivamente prolungato con il mediatore: il mediatore, in altre parole, rischia di divenire un blocco o di trasformarsi in uno stereotipo.

In conclusione: la metafora può essere utile come provvisorio strumento pedagogico per amplificare schemi pre-esistenti fornendo loro collegamenti semantici fra una conoscenza strutturata e informazioni nuove. Si invita a ricorrere quindi all’efficacia di mediatori e metafore, quando se ne presenti l’occasione o la necessità, e all’occorrenza anche di riutilizzarli a distanza di tempo, ma di staccarsene comunque quanto prima per non creare stereotipi negli allievi attraverso un'enfasi eccessiva data a tale supporto, non appena si comprenda che essi hanno consentito di raggiungere lo scopo per il quale erano stati introdotti.

17 agosto, 2007

L’arteterapia

L’arteterapia è uno dei mediatori più efficaci che ricorre all’espressione artistica per promuovere la salute, favorire la guarigione, e si propone come una tecnica dai molteplici contesti applicativi, che vanno dalla terapia e la riabilitazione al miglioramento della qualità della vita, a contesti educativi. Le risorse utilizzate sono le potenzialità che ognuno di noi possiede, chi più chi meno, di elaborare il proprio vissuto e di esprimerlo creativamente; dove educare sta per e-ducere, cioè portar fuori e, nella pratica terapeutica e riabilitativa, portar fuori dal buio verso una maggiore conoscenza e consapevolezza. Il focus dell’arteterapia è sul processo creativo in sé. Ciò che è importante è soprattutto l’esprimersi, il creare. L’atto di produrre un’ impronta creativa, infatti, permette all’individuo di accedere agli aspetti più intimi e nascosti di sé, di contattare ed esprimere le emozioni più recondite e spesso inaspettate, e di sperimentare e potenziare abilità spesso ignorate o inutilizzate. In questo senso il processo creativo, al di là del contenuto e del risultato finale, è già terapeutico in sé. Ciò non toglie che queste impronte creative, e cioè i prodotti finali dell’espressione artistica, possano svolgere altre importanti funzioni. Prima di tutto rappresentano per “il creatore” una traccia di sé, la testimonianza della propria auto-affermazione e il ricordo delle esperienze vissute durante la sua produzione, e dunque un punto di partenza per ulteriori riflessioni. Inoltre, in quanto rappresentazione simbolica del mondo interno del soggetto, rappresenta per il terapeuta uno strumento privilegiato di accesso ai suoi contenuti interni, e dunque un materiale molto ricco ai fini della diagnosi e di una maggior comprensione del paziente.

ORIGINI: Come tecnica terapeutica e riabilitativa l’arteterapia si è sviluppata solo di recente (circa una cinquantina di anni fa) in seguito ai successi ottenuti da alcuni specialisti in attività creative nell’ambito dell’assistenza sanitaria, della riabilitazione e dell’educazione speciale. Il concetto stesso di arteterapia è dunque relativamente nuovo. Le sue origini, tuttavia, possono essere rintracciate nell’antico ed eterno rapporto tra cultura, arte, e sviluppo sociale. “Alcuni autori sono arrivati a suggerire che tra arti e società esiste un legame inscindibile: perciò, la salute di una società si riflette nella sua attività artistica, e viceversa. Analogamente, si è detto che l’esercizio del diritto a produrre la propria impronta creativa può essere considerato come indice di salute dell’individuo.” Warren,1993). Da sempre l’arte è considerata una forma di comunicazione importante, che riesce ad arrivare dove le parole non riescono ad arrivare. Proprio per questa sua peculiarità l’arte è stata spesso oggetto di interesse per molti studiosi nel campo della psicologia. Del valore sociale dell’arte, in quanto mezzo fondamentale di comunicazione in cui le emozioni individuali diventano generali e collettive, (Vygotskij). Egli ritiene il concetto di creatività e di immaginazione, due momenti integranti e indispensabili per una corretta conoscenza della realtà. La creatività stimola alla ricerca di nuove soluzioni e al cambiamento, dunque l’espressione artistica non è più una fuga dalla realtà, bensì ne diventa uno strumento di conoscenza fondamentale.
Comunque, quelle che sono considerate le vere fondatrici dell’arteterapia sono Margaret Naumburg e Edith Kramer. L’arteterapia come disciplina attinge da una varietà di approcci teorici, come quello psicoanalitico, quello psicodinamico, quello cognitivista, quello gestaltico e quello dell’analisi transazionale, e, in generale, da tutti quegli approcci terapeutici che mirano a contattare e riconciliare i conflitti emotivi, alla promozione dell’autoconsapevolezza e dell’accettazione di sè, e allo sviluppo di abilità relazionali e comunicative.
Le potenzialità di questo strumento terapeutico, e cioè in che modo l’arteterapia,
può diventare momento di cura e terapia. Ci sono una serie di caratteristiche intrinseche al fare arte che rendono l’impegnarsi in questa attività di per sé terapeutica. È stato dimostrato che quando una persona è immersa in un’attività creativa riceve una serie di sollecitazioni a livello fisico, intellettuale ed emozionale che portano a mutamenti organici e psicologici che favoriscono i processi di guarigione. A queste proprietà benefiche del fare arte, l’arteterapia unisce la guida competente dell’arteterapeuta, che deve saper utilizzare al meglio questi strumenti, adattandoli via via alle persone e alle situazioni, e amplificando determinati aspetti piuttosto che altri a seconda degli obiettivi prefissati. Fare arte riprende le modalità di conoscenza e azione sul mondo tipiche del bambino. Vi è infatti, come nel gioco infantile, una totale presenza e coinvolgimento verso ciò che si sta vivendo; vi è la possibilità, e lo stimolo, a prendere confidenza e sperimentarsi in tutte le ipotesi che la realtà e le proprie potenzialità presentano, e per di più divertendosi, e non con la fatica, e spesso l’ansia, che invece di solito presenta l’adulto nel momento in cui deve ricercare soluzioni o prendere decisioni, e che spesso lo porta a rinchiudersi in automatismi e comportamenti fissi e ripetitivi, sicuramente più comodi e rassicuranti ma anche, appunto, fissi, stabili, non in evoluzione. In questo senso l’arteterapia, oltre a costituire un mezzo elettivo per “lavorare” con i bambini, favorisce un allargamento degli schemi abituali con i quali l’adulto vede e si relaziona alla realtà, sia interna che esterna, e lo stimola a prendersi la libertà di individuare, contattare e sperimentare tulle le potenzialità inespresse, sia dentro che fuori di lui. Fare arte coinvolge l’individuo nella sua totalità mente-corpo. L’attività creativa richiede infatti non solo un impegno intellettivo e cognitivo - legato all’immaginazione e all’ideazione del ‘prodotto artistico ’ - ma anche un impegno percettivo, sensoriale, e motorio, legato alla produzione artistica in senso stretto. Le tecniche legate all’arteterapia hanno dunque la funzione di porre in miglior comunicazione soma e psiche, mente e corpo, e di far in modo che vi sia un rapporto più fluido ed equilibrato, e dunque più sano, tra questi due inscindibili aspetti che ci costituiscono, troppo spesso vissuti in maniera separata. Fare arte, nel senso di impegnarsi in un’attività nuova e creativa, promuove inoltre l’attivazione dell’emisfero destro del cervello, che presiede appunto alle attività creative, alla fantasia, all’intuizione, alla comunicazione e ai segnali corporei (pensiero analogico). Nella nostra società contemporanea, e in particolar modo in quella occidentale, il pensiero analogico viene ritenuto di solito come meno importante rispetto al pensiero logico-razionale, dovuto invece all’attività dell’emisfero sinistro. In realtà, invece, come necessitiamo di due gambe per poter camminare correttamente, allo stesso modo abbiamo bisogno dell’attività congiunta dei due emisferi del cervello per poterci adattare adeguatamente alla mutevole realtà. Il così detto “pensiero laterale”, infatti, il cui sviluppo viene promosso dall’attivazione dell’emisfero destro, è fondamentale per arginare i limiti del pensiero logico-formale. Come bene sintetizza il medico psicologo De Bono (Manzelli, Neuroscienze.net), il pensiero laterale permette di riconoscere i criteri e le idee dominanti che di solito polarizzano la percezione di un problema, di cercare dunque modalità nuove di guardare ed operare sulla realtà, e quindi di rendere più flessibile il rigido controllo del pensiero logico-razionale e stimolare lo sviluppo della creatività. L’arteterapia dunque diviene un’importante opportunità per dedicare spazio e tempo, e dunque promuovere e potenziare, queste fondamentali capacità. Fare arte implica il ricorso al linguaggio dei simboli. Dipingere, disegnare, plasmare, danzare, implicano un’attività nella quale tutti i nostri sensi vengono stimolati e noi veniamo assorbiti nella nostra totalità. Ciò che proviamo e sperimentiamo si riflette nella nostra produzione artistica in termini di qualità ed intensità di linee, tratti, colori, movimenti, nel modo in cui usiamo il tempo e lo spazio, eccetera. Per cui l’espressione artistica si propone come un riflesso, una rappresentazione simbolica del nostro mondo interno e delle modalità che solitamente usiamo nel rapportarci alla realtà, sia esterna che interna. È proprio la caratteristica di utilizzare il linguaggio dei simboli, e dunque non solo quello verbale, che rende l’arteterapia un canale privilegiato rispetto alle altre forme di terapia. L’espressione artistica funge infatti da fattore di protezione e contenimento, e da oggetto mediatore nella relazione tra l’utente e il terapeuta, e così, pur rispettando i meccanismi di difesa, in qualche modo li aggira e favorisce la libera espressione del proprio mondo interiore, una maggiore autoconsapevolezza e l’attivazione di risorse creative.È infatti più facile parlare di un disegno, di una poesia, di un brano musicale, di un film o di qualsiasi altro prodotto artistico, che parlare di sé. Va aggiunto anche il fatto che l’arteterapia, pur essendo utilizzata anche nel corso di terapie individuali, si svolge di solito in un contesto di gruppo. La presenza del gruppo svolge infatti molteplici funzioni. Prima di tutto, crea quell´atmosfera di spontaneità e quella sensazione di contenimento necessaria affinchè ogni membro possa esprimersi liberamente. Inoltre, consente al soggetto di rendersi conto di non essere solo in una situazione difficile unica, ma di trovarsi, sia pure nella specificità dei propri vissuti personali, in una situazione comune ad altri e da altri "partecipata". L´intero gruppo, infatti, discute e si confronta sui vissuti dei singoli membri, e questo non solo permette al singolo di percepire una rassicurante sensazione di contenimento, ma offre anche all´intero gruppo un importante occasione di confronto e di crescita. Per tutte queste caratteristiche intrinseche del fare arte, l’arteterapia riesce a superare i limiti delle terapie esclusivamente verbali. Facendo ricorso alle modalità infantili, ai più diversi registri sensoriali e comunicativi, e stimolando la creatività, l’arteterapia permette a tutti, e soprattutto a chi ha, per qualsivoglia ragione, difficoltà di comunicazione di esprimere emozioni e sentimenti inibiti, o di cui è difficile parlare; identificare ed affrontare conflitti e blocchi emozionali; migliorare la conoscenza e il rapporto con il proprio corpo; aumentare l’autoconsapevolezza; incrementare l’autostima e la percezione di autoefficacia; affermare sé stesso e la propria identità/individualità; sviluppare nuove strategie di comportamento; incrementare le capacità relazionali e comunicative. L’arteterapia viene usata nei contesti più vari. Questa diversità rispecchia la natura multidisciplinare dell’arteterapia e la pluralità degli approcci teorici cui questa fa riferimento, e riflette non solo l’efficacia della semplice partecipazione ad un attività creativa, ma anche le molteplici funzioni che questa può svolgere a seconda dei diversi momenti e obiettivi terapeutici. L’arteterapia, infatti, contribuisce sia alla diagnosi che alla presa in carico, che al trattamento del disagio, fisico psicologico o sociale che sia, nonché alla prevenzione del disagio stesso. Per fare ordine possiamo suddividere gli ambiti di applicazione dell’arteterapia in tre grandi aree, e cioè, quella della terapia, quella della riabilitazione, e quella dell’educazione. Sin dalla sua nascita l’arteterapia si è subito sviluppata principalmente come strumento di sostegno nelle cure psichiatriche di persone con gravi disturbi psichici, come ad esempio gli psicotici e gli autistici (area terapeutica). Fu infatti presto chiaro a medici e psicologi che queste persone riuscivano ad esprimersi meglio con il corpo o con i gesti, modellando la creta, ballando, o raffigurando nei disegni le proprie angosce, piuttosto che attraverso le parole, per cui il ricorso all’espressione artistica poteva aiutarle a superare le gravi difficoltà di comunicazione, tipiche delle persone affette da questi disturbi. Tali risultati portarono ad estendere l’uso di queste tecniche anche a pazienti con disturbi “meno gravi”, come ad esempio disturbi dell’umore e disturbi d’ansia, nei quali si riscontra grazie all’uso dell’arteterapia (Pasanisi, 2001) un aumento dell’autostima, un consolidamento dell’Io e un miglioramento delle capacità di socializzazione. I successi ottenuti nell’ambito della terapia portarono, con il passare del tempo, ad estendere l’uso dell’arteterapia al campo della riabilitazione di soggetti con danni neurologici e con handicap fisici, ma senza vere e proprie patologie psichiche, ambito di applicazione più frequente oggi. Esprimersi in attività creative aiuta queste persone a ridurre la negazione della disabilità, sviluppare maggiore autonomia personale e sviluppare relazioni sociali. Infatti “Insegnando alle persone a vedere ciò che le circonda, a esprimere le loro emozioni, e affermando continuamente che loro, e soltanto loro, possono tracciare quei particolari segni sulla carta o sulla tela, queste persone hanno maggiori opportunità di conoscere se stesse e il loro diritto di essere rispettate e di volersi bene” (Warren, 1993). Per quanto riguarda invece l’area dell’educazione, mi riferisco invece al trend, più nuovo, di utilizzare l’arteterapia anche con persone “normali”, o comunque non portatrici di disagi specifici, come forma di educazione, appunto, alla sensibilità, alla creatività, all’autoconsapevolezza e alla accettazione di sè. Sono tanti, infatti, le situazioni “normali” in cui le persone, sia adulti che bambini, avvertono una situazione di “crisi” e il bisogno di ristabilire l’equilibrio con se stessi e con il mondo esterno (lutti, separazioni, insuccessi a scuola o nel lavoro, etc.).

Tra le forme d’arte principalmente utilizzate in arte terapia si possono menzionare tutte le arti grafiche, dal disegno alla scrittura; la danza; la musica; il teatro e la cinematografia.

16 agosto, 2007

I nostri mediatori didattici per eccellenza!.......



La musica, attraverso la sua “sfera” sensoriale, è quindi veicolo privilegiato per scoprire il proprio mondo interiore, aspetto fondamentale nello sviluppo affettivo e cognitivo dell’individuo. Pertanto è importante proporre in una azione didattica, una esperienza musicale “attiva” del fare musica, in maniera da consentire un dialogo fatto di movimenti, gesti, posture, sguardi, parole e ordine ritmico. Gli antichi greci, distinguevano due comportamenti fondamentali della musica: “ethos ethikòn” ed “ethos enthousiastikon”. Quest’ultimo aveva finalità ludiche, era l’ethos dei culti dionisiaci, dove la musica metteva il dio (thèos) dentro loro (en), da cui la parola entusiasmo avere un dio dentro. Alcuni studi di neurofisiologia e musicologia hanno messo in rilievo il potere comunicativo del linguaggio musicale, e molti studi hanno dimostrato il duplice effetto psicoterapico della musica sia nell'ambito fisiologico che psichico. La musica evoca sensazioni, stati d'animo, può far scattare meccanismi inconsci e aiuta a rafforzare l' Io; può aiutare a sbloccare repressioni e resistenze permettendo agli impulsi e ai complessi che producono conflitti e disturbi neuro-psichici di affiorare a livello di coscienza. Dunque, la musica è un mezzo di comunicazione anche là dove le parole divengono inaccessibili; Il poeta H. Heine affermò: “la musica incomincia, dove si ferma la parola”, essa infatti permette di comunicare attraverso un codice alternativo rispetto a quello verbale. Le stimolazioni musicali possono suscitare miglioramenti nella sfera affettiva, motivazionale e comunicativa. Fattore di sviluppo per l'alunno “normale”, essa rappresenta una vera terapia per il portatore di handicap. Viene impiegata in diverse problematiche come prevenzione, riabilitazione e sostegno al fine di ottenere una maggiore integrazione sul piano intrapersonale ed interpersonale, un migliore equilibrio ed armonia psico-fisica. Gli ambiti di intervento sono vari: soggetti autistici, alunni colti da paralisi cerebrali infantili, bambini non vedenti, soggetti down, alunni con problemi di apprendimento e/o con disturbi del linguaggio. La musica è uno dei mediatori educativi fra i più potenti, soprattutto quando i deficit sono molto gravi e le esperienze che ormai abbiamo sono davvero tante per confermarcelo scientificamente. Essa in quanto mediatore analogico è uno dei più idonei a mantenere desta l’attenzione del sordo(vedi l’efficacia del metodo Verbo-Tonale), dell'ipovedente, del down, dell'idrocefalo, del cerebroleso, del debole mentale, del cranioleso e di tutti quei soggetti con deficit mentali secondari. Questo, anche perché la musica, è uno dei mediatori in senso contenutistico, sia per similitudine con la realtà, sia perché con la realtà ha un rapporto di proporzionalità diretta. In Musicoterapia, ci si serve della musica come mediatore eccellente in cui esperienza diretta, analogie, simbolismo, consentono al soggetto di rappresentarsi la realtà in modo soggettivo e insieme interpersonale. In quest’ultimi anni, in diversi contesti educativi, la musicoterapia si sta rivelando un ottimo strumento per favorire l’inserimento e l’integrazione del soggetto con handicap, in quanto gli interventi proposti risultano formativi anche per tutta la classe. La musica, oltre a permettere la manifestazione della propria espressività, è una disciplina mentale che ha bisogno di ordine, di attenzione e concentrazione e quindi mai come oggi ha bisogno di essere portata nella scuola, dove tutti noi insegnanti, sappiamo che aumentano ogni anno, i casi di soggetti iperattivi, che manifestano a vari livelli difficoltà di attenzione e concentrazione, e dunque di apprendimento.




(pittura ANTONIO FIORINI)


Il disegno e la pittura:
Il disegno e la pittura vengono utilizzate in arteterapia per acquisire o potenziare la capacità di contattare le emozioni e rappresentarle in una dimensione fantastica attraverso la forma e il colore. Inoltre, richiedendo l’attivazione della coordinazione visuomotoria e la capacità di movimenti fini e precisi, comporta un giovamento anche da un punto di vista strettamente motorio. Il disegno assume infatti in arteterapia tre significati: un significato ludico (per creare), un significato narrativo (per raccontare di sé), e un significato conoscitivo (per porsi e rispondere a delle domande). Ma soprattutto il disegno ha un valore proiettivo. Il disegno infatti permette di esplicitare i propri conflitti e le proprie ansie che, assumendo concretezza e divenendo finalmente qualcosa di esterno a sé, trovano finalmente il distacco necessario per poter essere affrontate in maniera meno ansiogena. Per quanto riguarda la pittura possono essere utilizzate tutti gli strumenti e tutte le tecniche pittoriche, come ad esempio i pennarelli, le tempere, gli acquarelli, i colori a dita, il collage e così via. Va tenuto presente che anche la scelta di un certo strumento ha un valore simbolico. L’uso della scrittura: L’uso della scrittura in arteterapia prende vari nomi (writing therapy, poetry therapy, bibliotherapy, eccetera) a seconda della tecnica principalmente usata, ma stanno tutti ad indicare l’uso intenzionale della scrittura come strumento terapeutico. La scrittura viene infatti usata in arteterapia in diversi modi, da scegliere ed adattare a seconda delle caratteristiche delle persone e degli obiettivi terapeutici. In linea generale possiamo distinguere tra una modalità attiva e una modalità passiva. Nella modalità attiva i soggetti vengono invitati a comporre dei brani poetici o letterari, in maniera libera o a partire da un tema o parole chiave indicati dal terapeuta. In questo caso la scrittura ha principalmente una funzione espressiva e rappresenta un’importante occasione per entrare in maggior contatto con sé stessi, raggiungere una maggiore autoconsapevolezza e nuovi, e spesso inaspettati, insight. La modalità passiva, invece, richiede la lettura, secondo un’interpretazione personale, di brani già esistenti. In questo caso la funzione è principalmente evocativa, e fa leva sui meccanismi di proiezione ed identificazione. L’utilizzo della scrittura è particolarmente indicato con persone molto razionali e che di solito hanno difficoltà a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, in quanto tradurre in parole le proprie emozioni richiede proprio un lavoro di questo tipo.




La danza: anche per quanto riguarda l’uso della danza sono state elaborate diverse varianti (biodanza, danzaterapia, danza-movimento terapia), che condividono l’uso del movimento, con o senza musica, come principale strumento terapeutico. Il presupposto teorico su cui si basano queste forme di terapia, è quello in base al quale tensioni muscolari e modalità posturali e di movimento (uso dello spazio, tempi, ritmi, etc.) riflettono tensioni e modalità psicologiche; per cui, lavorare per prendere consapevolezza e sciogliere tali tensioni fisiche comporta l’entrare in contatto e il risolvere i blocchi emotivi e psicologici. La danza può essere vista come un dramma, in cui il linguaggio del corpo sostituisce quello verbale. L’obiettivo principale è mettersi in contatto con il proprio corpo e dare ascolto alle emozioni che vi albergano, ma i benefici dell’uso del movimento e della danza si estendono a più livelli. Ad un livello puramente fisico permette di ampliare il repertorio motorio e migliorare la coordinazione ed il tono muscolare, ad un livello psicologico si interviene sulle modalità di espressione di sé e sui livelli di adattamento alla realtà, ad un livello sociale, infine, si lavora sul modo di interagire con il gruppo e dunque sulle capacità comunicativo-relazionali.



Il teatro: L’idea che il teatro potesse avere effetti benefici, e dunque potremmo dire terapeutici, risale fino ad Aristotele e all’ antica Grecia. Gli effetti benefici di cui parlava Aristotele, la catarsi che derivava dall’assistere ad una tragedia, erano però di tipo passivo, mentre in arteterapia le tecniche teatrali vengono utilizzate in maniera attiva, ai fini della terapia. La scoperta del teatro quale strumento terapeutico si deve principalmente a Moreno, ideatore dello psicodramma, ma dopo di lui è stata acquisita e sviluppata dai più svariati approcci terapeutici ed ha trovato largo impiego nei più diversi ambiti di applicazione. Psicodramma, teatroterapia, drammaterapia, playback theatre, eccetera, hanno tutti in comune l’utilizzo della drammatizzazione quale principale strumento terapeutico. Drammatizzare, e cioè tradurre in azione, permette infatti un accesso più diretto ai contenuti interni del soggetto, che potrà rivivere eventi del passato, elaborare e risolvere i conflitti riattualizzandoli, esplorare i propri “fantasmi” rendendoli concreti ed esterni a sé e quindi più accessibili e più facilmente modificabili o, ancora, sperimentarsi in situazioni nuove accrescendo così le proprie competenze e la conoscenza di sé. Le tecniche derivate dal teatro utilizzate in arteterapia sono molteplici e svariate anche perché il terapeuta le applica adattandole via via ai pazienti e alle situazioni e spesso arriva a crearne di nuove. Oltre alla rappresentazione vera e propria e allo psicodramma, ricordiamo i giochi teatrali, di solito usati come “riscaldamento” del gruppo, e cioè per creare l’atmosfera necessaria ad un’espressione libera e spontanea di sé; l’uso delle maschere, che solitamente vengono fatte costruire e dipingere dagli stessi soggetti; e l’interpretazione di monologhi.



La cinematografia: Musatti (1950) è stato tra i primi ad approfondire gli aspetti e le funzioni psicologiche del guardare un film, segnalando l’analogia tra sogno e cinema. Sia nei sogni che al cinema le immagini presentano un carattere di realtà pur non inserendosi nella realtà, rispondono ai bisogni immaginari e alle pulsioni più intime permettendone la soddisfazione allucinatoria, e sono sottoposte agli stessi processi intrapsichici: spostamento, proiezione, oblio, etc. La seduta cinematografica, inoltre, presenta tutta una serie di caratteristiche che favoriscono un coinvolgimento così forte, come l’oscurità, il volume alto, la posizione rilassata, la passività. “La visione di un film modifica lo stato di coscienza di una persona: lo spettatore viene proiettato in una dimensione spazio-temporale in cui esiste solo la storia rappresentata sullo schermo, che annulla, almeno temporaneamente , la realtà circostante. Questa nuova dimensione è in grado di suscitare emozioni, indurre alla riflessione su sé stessi e la propria esistenza, inviare spunti per un dialogo, che produrrà mutamenti in coloro che ne sono coinvolti” (Fata, 2003). I meccanismi psicologici coinvolti sono principalmente quelli di identificazione, per cui una carenza o un bisogno interno vengono mitigati attraverso l’identificazione, appunto, delle emozioni e dei vissuti dei personaggi del film, e la proiezione, per cui si affrontano i conflitti interni o gli aspetti più spiacevoli di sé cogliendoli, come oggettivi, nei personaggi del film. Quando è possibile, rendere consapevoli tali processi può essere un momento molto importante di crescita personale. Anche la cinematografia viene usata in arteterapia sia in forma passiva, e dunque più vicina agli effetti catartici di cui parlava Aristotele, sia in forma attiva e cioè coinvolgendo il gruppo sia nella stesura della sceneggiatura che nella produzione stessa del film, di cui, ovviamente, saranno i protagonisti.

(alcune parti sono state tratte liberamente da articolo di Alessandra Improta )

L’ APPRENDIMENTO MEDIATO.......FEURSTEIN




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Il bambino impara ad apprendere non perché è direttamente esposto agli stimoli ambientali, ma perché si inserisce tra lui e l’ambiente una figura che esplica la preziosa funzione di mediazione.

Feurstein pur riconoscendo l’importanza degli stimoli individua l’”apprendimento mediato”. Il bambino impara non perché direttamente esposto agli stimoli ambientali, ma perché tra lui e l’ambiente si frappone una figura: il genitore (o chi per lui) che esplica la funzione di “mediazione”.

Il mediatore guidato dalla sua cultura seleziona, organizza gli stimoli che devono giungere al bambino in modo da fornirgli gli schemi di apprendimento, modelli di comportamento.

L’apprendimento, per Feurstein, è dunque il risultato della combinazione tra la diretta esposizione agli stimoli ambientali e l’esperienza di apprendimento mediato. Il fattore umano di mediazione non può essere sostituito da nulla (computer, danza, pittura ecc…) Quando il soggetto in apprendimento non desse risposte corrette, il mediatore interverrebbe in modo positivo, correggendo e proponendo stimoli alternativi

L’ordine di comparsa, la qualità degli stimoli e i cambiamenti che si verificano, sono fatti propri dal bambino grazie all’intenzionalità dell’adulto che indica gli eventi più importanti ed i loro aspetti critici.

Feuerstein, in tal modo, rovescia la teoria della genesi del ritardo dell’apprendimento che non dipenderebbe, così, solo dalle problematiche socio-culturali.

Ogni ritardo mentale, invece, dipende dallo scarso interesse dell’adulto nei confronti dello sviluppo del soggetto in educazione.

Come relazionarsi e comunicare con un bambino in difficoltà? Per Feuerstein si deve far sempre in modo che il bambino colga il motivo delle parole che gli sono rivolte e delle azioni che si compiono: ad esempio, apro l’acqua calda perché tu non senta freddo. Il bambino in tal modo crea connessioni, giunge a capire il rapporto causa effetto, scopre il significato delle azioni che vengono compiute. Ciò va fatto anche se sembra che il bambino non colga quanto gli si dice.

E’ importante individuare ogni occasione per collegare vari fati fra di loro. Per Feuerstein se si vuole ottenere la partecipazione attiva del bambino occorre spiegagli l’implicito: ad esempio, mangia le carote perché fanno bella la pelle, ti facilitano una bella abbronzatura. Non serve tanto la spiegazione scientifica, ma il collegamento dei fatti tra di loro. Il discorso va arricchito con aggettivi per esprimere le proprie conoscenze ed emozioni. In una società sempre più povera di valori, oggi, l’ambiente, le ricorrenze familiari, i riti anche della vita quotidiana vanno colorati ed arricchiti di risonanze emotive.

Tutto questo è necessario ma non sufficiente per l’autonomia cognitiva, soprattutto per un soggetto down. Bisogna individuare il modo per accrescere nel bambino la sicurezza di sé, cosa che si può ottenere solo mettendogli in luce i suoi lati positivi: niente sarebbe più frustrante per lui che sentire di continuo giudizi negativi sul suo conto. C’è modo e modo di intervenire per correggere gli immancabili errori: l’adulto deve intervenire sempre in modo positivo e propositivo.

E’ opportuno anche lanciare ripetutamente sfide che possono essere raccolte attivamente e ciò per rafforzare la necessaria stima di sé: esse devono avere due caratteristiche stimolare il costante progresso e nel contempo essere assolutamente accessibili.

Altro atteggiamento, importante per Feuerstein, abituare il bambino a riflettere evitando risposte impulsive, che sono per lo più frutto di superficialità o di frustrazione. Prima di prendere una iniziativa o di dare una risposta bisogna pensare. Un consiglio, ripetuto, per Feuerstein: “aiutare il soggetto a prendere coscienza dei suoi miglioramenti (oggi sei riuscito a leggere una parola di tre sillabe!). La maggior parte di quanti falliscono a scuola sono incapaci di impegnarsi per mancanza di autostima: al primo insuccesso rinunciano.

Bisogna anche educare a rinviare la gratificazione per rafforzare la capacità di affrontare le difficoltà di un progetto (per tirare la palla aspetta il tuo turno).

Non va dimenticato che ci sono soggetti che non riescono a maturare in quanto non sono in grado di concentrarsi in un unico stimolo per la limitata capacità di concentrazione: occorrono allora particolari interventi nella selezione degli stimoli spiegando lo che bisogna far bene quello che si fa (quando mangi, i tuoi giochi devono riposare)

Altro modo di aiutare la progettazione positiva di sé del soggetto è visualizzare il futuro anticipandolo(“prima si fanno alcuni esercizi, poi si esce a fare la spesa, poi….)

Soggetti in educazione (sia meno dotati che deboli mentali) vanno stimolati alle domande: che cos’è ?, cosa vuol dire? Di chi è? Il che sviluppa l’espressione verbale e invoglia ad esternare le emozioni. Per Feuerstein le difficoltà di apprendimento anche in adolescenza, hanno la causa nella povertà delle emozioni che genitori e figli vivono insieme sia nella vita familiare che nelle relazioni sociali. Feuerstein è convinto che tutti gli esseri umani hanno la possibilità di sviluppare il proprio potenziale cognitivo anche per soggetti con deficit per cause organiche e perfino genetiche anche se il potenziale di modificabilità non è prevedibile. Contro la convinzione che l’intervento di potenziamento delle abilità cognitive sia possibile solo se attuato precocemente: “tutta la vita per Feuersein ha periodi ottimali suscettibili di modificabilità”

Affinché l’interazione individuo-ambiente diventi un’esperienza di “apprendimento mediato” deve avere caratteristiche universali quali:

  1. “La mediazione occorre sia intenzionale”: attraverso l’intenzionalità il soggetto coglie che gli stimoli non sono casuali. La mediazione induce a percepire le cose con chiarezza e precisione e orienta verso lo scopo dell’educatore che media. Lo stimolo viene intensificato, così che il soggetto in educazione che il mediatore sono indotti “in uno stato di vigilanza verso lo stimolo” (Feuerstein). L’esposizione diretta e passiva allo stimolo, al contrario, in assenza di intenzionalità, non assicura la percezione della situazione e che sia recepita dal soggetto. Così, chi insegna, ad esempio, ad un down il calcio, deve rallentare i movimenti per permettere di coglier le fasi. L’intenzionalità si evidenzia, concretamente, nel rallentamento dell’azione.

L’intenzionalità della mediazione talora è spontanea: esempio, madre del figlio down che rallenta i gesti nell’attesa della risposta.

  1. “Mediazione aperta all’ulteriorità”. La mediazione educativa va al di là dell’esperienza immediata in quanto il mediatore guida ad uscire dal presente per sviluppare nessi casuali, temporali, generalizzazioni, espansioni verbali.
  2. “Mediazione dei significati”: il mediatore consente all’altro di attribuire agli stimoli che gli si presentano in modo indifferenziato, un significato, un valore. E’ questo che gli consente di superare la neutralità, la passività. Un significato può essere variato in tanti modi: verbalmente, con tono di voce, testualmente o con la mimica. Il fattore più importante in tale processo è il legame affettivo fra mediatore e il soggetto in educazione, talora è l’unico fattore motivante.
  3. “Mediazione del senso di competenza”: è uno degli elementi più difficili da recuperare in ogni soggetto. La consapevolezza di essere capaci e di poter riuscire motiva la volontà di impegno in ulteriori tentativi. Bisogna spiegare, al di là del semplice “sì va bene” perché è stato capace, cosa nella sua azione era così giusto d’averlo portato al risultato finale. E’ essenziale aiutare il soggetto a cogliere il processo che lo ha condotto al successo finale.
  4. “Mediazione delle regole di comportamento”: l’educatore deve rendere il soggetto in educazione ben consapevole della necessità di dare una regola alla propria condotta perché sia finalizzata agli obiettivi da perseguire. L’impulsività è presente nei bambini, ma anche in soggetti adulti in difficoltà. L’educatore compie un lavoro di mediazione e frena l’impulsività dedicando più tempo all’analisi del compito e rifiutando risposte incontrollate.
  5. “Mediazione del comportamento di cooperazione”: fare insieme è utile quando si fa comprendere quello che si ottiene unendo le forze per raggiungere un obiettivo comune. Se lo scopo dell’azione viene colto mentre collabora, il collaborare viene accolto e interiorizzato senza prediche, né moralismi.
  6. “Mediazione del senso di condivisione” che dà fiducia in se stessi. Il bambino sin da piccolo ama la presenza della mamma che, alla fine, diventa esigenza di condividere le esperienze. Tale esigenza è presente anche in soggetti in difficoltà e bisogna guardarsi bene dal farla morire. Il problema sorge quando dall’esperienza domestica si passa a quella generalizzata in ambienti diversi. Il modo più sicuro di riuscita consiste nell’esperienza di gruppo. Nella scuola materna è necessario prodigarsi per un’interazione continua fra bambini, inibendo comportamenti individualistici.
  7. “Mediazione della differenziazione psicologica”: un bambino quanto più si sviluppa tanto più si differenzia dagli altri e deve rendersene conto. Anche il soggetto in difficoltà deve accorgersi di essere una personalità distinta, unica e irrepetibile. I suoi deficit non devono oscurargli la potenziale ricchezza delle differenze individuali. Spesso gli adulti non valutano adeguatamente quello che fanno o dicono i bambini soprattutto quando si discostano dalle loro opinioni. Il processo didattico di individualizzazione potrà e dovrà tener conto della singolarità e della maturazione di fatto avvenuta per programmare percorsi di ulteriore sviluppo.
  8. “Mediazione della ricerca, scelta e conseguimento degli scopi”. Se per un adulto è difficile operare progetti e proporsi scopi, a maggior ragione lo sarà per un soggetto in difficoltà. La prima mediazione di un educatore è quella di mediare, cioè far cogliere le situazioni problematiche. Le difficoltà che il soggetto in educazione incontra nel rappresentarsi gli scopi al di fuori del proprio campo percettivo o che sono lontani dai propri interessi, vengono avvicinati dalla presa di coscienza del problema. Solo dopo l’adulto potrà guidarlo e aiutarlo a collegare lo scopo con i mezzi necessari a raggiungerlo. Occorre che trasmetta con chiarezza il tipo di prestazione che si attende, quali mezzi sono necessari..
  9. “Mediazione della ricerca della novità e della complessità”. Con Feuerstein si sottolinea che solo un ambiente che offra stimoli nuovi, complessi e non familiari si è in grado di creare la situazione più favorevole allo sviluppo dell’intelligenza. Per ambienti stimolanti si intendono quelli “creativogeni” (S. Arieti), quelli cioè intrisi di elevati valori umani. Lo scopo ultimo di tutto il processo educativo non è solo quello di produrre la capacità di adattarsi a situazioni nuove, ma di operare anche scelte difficili in tali situazioni nuove. Conseguentemente, l’adulto deve saper organizzare il proprio intervento per far accettare una certa quantità di sforzo motivato e mediato dall’importanza dei valori in cambio di risultati gratificanti a livello etico-morale. Occorre, in particolare con gli artistici, attenzione per quanti – segnati da deficit – non amano il cambiamento avvertito come minaccia alla propria esistenza: la mediazione in tali casi deve cercare di entrare il più possibile in piena sintonia con il soggetto in modo che il cambiamento venga operato di comune accordo, con la partecipazione diretta del soggetto, calcolando anche i tempi di marcia.
  10. “Mediazione della consapevolezza della modificabilità e del cambiamento”: quando un soggetto in età evolutiva, più o meno normodotato, nella difficoltà o insuccesso degli interventi di recupero, può convincersi non solo che la situazione non è modificabile, ma anche che l’adulto non è in grado di aiutarlo. L’intervento di mediazione consiste nel dimostrargli, invece, che è capace di funzionamento cognitivo autonomo che già utilizza nelle diverse situazioni della vita. Disponibilità di partecipare al lavoro e offerta di sempre maggiore motivazione costituiscono motivo di riuscita.
  11. “Motivazione nella ricerca di alternative ottimistiche”. Si esige dall’educatore la fiducia nella possibilità che alcune prospettive, anche se apparentemente utopiche,diventino realtà. Aiutare, quindi, il soggetto a fare esperienze di scelte difficili commentate ad alta voce così da coinvolgere la sua mente. Vanno scelti i momenti di maggiore calma o di migliore preparazione o di strumenti presentati come i più adeguati.
  12. “Mediazione dell’appartenenza alla specie umana” ciò in particolare quando in un ambiente convivono soggetti diversamente abili. Si impone la mediazione sia dell’antirazzismo sia dell’apartheid (basta pensare all’inserimento dell’handicappato nella scuola!). La mediazione s opera realizzando l’integrazione nell’organizzazione dei vari raggruppamenti scolastici (classi, interclassi, sottogruppi…) I moralismi sono controproducenti.
  13. “Mediazione della correzione delle funzioni cognitive” La causa dell’insuccesso e del ritardo scolastico dipendono dal cattivo uso delle funzioni cognitive (Feuerstein). Ne consegue la necessità della mediazione che rende cosciente l’alunno delle sue carenze sul piano funzionale. L’alunno (Feuerstein) consapevole che può correggere le funzioni carenti attraverso un processo metacognitivo (che va la di là della semplice conoscenza) riesce gradatamente a recuperare. Questa posizione di Feuerstein non è condivisa da Larocca anche perché molti errori cognitivi sono così radicati anche negli adulti colti che i cattivi funzionamenti delle funzioni cognitive non vengono corretti dalla semplice presa di coscienza di errori nel processo cognitivo. Nei soggetti con debolezze mentali serie più che la metacognizione si esige dall’educatore l’individuazione della o delle funzioni carenti su cui occorre intervenire. Occorre un’analisi approfondita dei prerequisiti che talora arretrano fino a disfunzioni di tipo percettivo e addirittura sensoriali.

(Riassunto da: La mira nella comunicazione- Azione Mirata di Larocca)

15 agosto, 2007

IL CINEMA

Cinema




"TI VOGLIO BENE EUGENIO" Sinossi

TRAMA BREVE

Un down di cinquant'anni, Eugenio, lavora in un centro traumatologico dove aiuta i malati nelle loro terapie di recupero. Su richiesta del professor Boselli accetta di parlare con Patrizia, una giovane incinta tormentata dall'idea di dare alla luce un figlio down......





ITINERARI DIDATTICI










dal film 'I Quattrocento colpi' di F. Truffaut
 

Cinema e adolescenza


- di Truffaut: visioni di 'Gli anni in tasca', 'Il ragazzo selvaggio',

'L'amour en fuite'. 'I quattrocento colpi'

- Altri film sull'argomento prodotti dal cinema francese:

'Zero in condotta'di Jean Vigo,

'Zazie nel metrò' di Louis Malle,

'Mio zio'di Jacque Tati,

'Gli anni di corsa' di Pierre Boutron,

'Un nemico per amico' di Jean Loup Hubert,

'La frattura del miocardio' di Jacques Fansten,

'Arrivederci ragazzi' di Louis Malle.

13 agosto, 2007

LA POESIA



      poesia di un mio alunno……. 

girotondo
girotondo
sento la musica e tutto danza intorno
danza intorno a me il braccio
danza intorno a me la ruota
danza intorno a me il mio sorriso, quello della mia prof, quello dei
miei compagni.
braccio, gamba,piede,mano,culo,testa
tanti pezzettini
tanti pupazzetti
girotondo
girotondo
vorrei girare in tondo.

Marco
 
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“Quando tornerai a scuola guarda bene i tuoi compagni e noterai che sono tutti diversi tra loro, e questa differenza è una cosa bella.

E’ una buona occasione per l’umanità.

Quei bambini vengono da orizzonti diversi, sono capaci di darti cose che non hai, come tu puoi dargli qualcosa che loro non conoscono.

Sappi che ogni faccia è un miracolo.

E’ unica.

Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche.

Ogni faccia è simbolo di vita e ogni vita merita rispetto”.

T.B.Jelloun

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“Spiegarvi che cosa è stato il mio incontro con l’autismo è difficile lo farò con una poesia”

OLTRE LA PORTA

Oltre la porta c’è un mondo meraviglioso,

oltre la porta c’è un genitore orgoglioso,

oltre la porta ci sono i miei pensieri

e forse anche i miei desideri.

Oltre la porta c’è un bel bambino

che non piange per un trenino,

oltre la porta c’è la paura

per qualcuno che mi trascura.

Oltre la porta c’è il mio futuro

ma a me sembra così oscuro.

Oltre la porta ci sono io col mio cuore

Prova ad entrare senza far rumore.

O.S.